Autoproduzione e CER

Come cambia la distribuzione energetica

Autoproduzione e CER

Macro-obiettivi nazionali, europei, mondiali e futuro del nostro pianeta: in questa grande sfida, le rinnovabili giocano un ruolo fondamentale, ed per questa ragione che abbiamo deciso di dedicare un E-Dossier all’autoproduzione e alle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), due fenomeni diventati centrali nel percorso evolutivo della distribuzione energetica.

Nel nuovo approfondimento a cura di E-Distribuzione affronteremo temi quali le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER), le differenze tra autoproduzione e autoconsumo diffuso e dedicheremo un focus alle CER, un fenomeno in grande crescita e molto importante per la transizione green

 

Le rinnovabili e la transizione energetica

La crescita delle rinnovabili è sempre più decisiva per proseguire spediti sul cammino dell’elettrificazione. A sottolinearlo, di recente, è stata anche Irena, l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili, nel Volume 1 del suo report annuale in tema di transizione energetica, il World Energy Transition Outlook 2023.

Ne abbiamo parlato con il suo Direttore Generale Francesco La Camera.

“Per procedere su questa via - esordisce La Camera - è necessario muoversi su tre fronti: costruire le infrastrutture necessarie e investire su larga scala nelle reti, nelle rotte sia terrestri che marine per accogliere nuovi luoghi di produzione, modelli commerciali e centri relativi alla domanda; promuovere policy quanto più evolute e un’architettura regolatoria in grado di facilitare gli obiettivi; e infine, riallineare strategicamente le capacità istituzionali e accademiche per garantire che le competenze e le capacità siano conformi con il sistema energetico che vogliamo creare.

Riguardo al primo pillar, come sottolinea il direttore, sugli investimenti e le infrastrutture “è chiaro dove stiamo andando: verso il nuovo sistema energetico. Finora l'infrastruttura è stata quella che ha permesso al paradigma energetico basato sui combustibili fossili di affermarsi, cioè di arrivare ai mercati, grazie proprio a un sistema portuale e di gasdotti che hanno portato la materia prima dal luogo in cui veniva estratta fino alle nostre case. Ma le cose sono cambiate, perché ora il sistema non è più centralizzato, e le riserve energetiche non sono più appannaggio di un ristretto numero di Paesi. Adesso l'energia rinnovabile può essere prodotta dappertutto”.

Che cosa succede, dunque? “Che il modo con cui l'energia arriva sul mercato necessita di alcuni accorgimenti, in particolare di una gestione delle reti quanto più possibile intelligente, flessibile interconnessa e bilanciata. Affinché ciò accada, è necessario che tutta la logistica esistente, compresi i porti, ma pensiamo anche a crocevia importanti quali il Canale di Suez e quello di Panama, sia chiamata a cambiare la propria natura. Pensiamo, per esempio agli offshore eolici, come pure al tipo di nave e alle stesse rotte da impiegare per trasportare l’idrogeno”.

Tutto questo richiede una nuova infrastruttura o un aggiornamento dell'esistente, prosegue il DG, proprio per fare in modo di produrre quella percentuale di rinnovabili utile a fare centro rispetto ai macro-obiettivi. 

La logistica e lo storage, quindi, diventano un elemento essenziale, anche e soprattutto per dare una prospettiva di sviluppo a tante aree del mondo, come l’Africa, e ridurre le disuguaglianze rispetto al resto del Pianeta.

A proposito del secondo pilastro, quello che cioè attiene alle policy e all’architettura regolatoria, La Camera si sofferma su una questione dirimente, i contratti: “è importante il meccanismo che sta alla loro origine. Quelli relativi al mercato attuale sono concepiti sulla base del costo marginale, un modello che non è funzionale alle rinnovabili, e quindi occorre tener conto delle differenze che esistono tra le FER e il resto”.

Per chiudere con i pillar, un’altra chiave per superare le barriere che ostacolano la transizione energetica è quella che riguarda le competenze e il loro “allineamento” rispetto a quello che richiede il nuovo sistema.

Tutto questo ha a che fare anche con le stesse aziende: “Alcune non riescono a investire quanto vorrebbero perché non c'è capacità di lavoro, non c'è personale formato e pronto per lavorare in questo campo”, prosegue il direttore.

Ecco perché questo tipo di ostacoli vanno superati. E il tempo a disposizione non è tanto, come sottolinea il nostro interlocutore.

“Il problema è che abbiamo un limite temporale che deriva dal fatto che bisogna limitare l'aumento della temperatura a un 1 grado e mezzo. Questo vuol dire essere Net Zero al 2050 e se vogliamo diminuire l'uso dei combustibili fossili senza distruggere il mercato dell'energia e senza lasciare insoddisfatta la gran parte della domanda è necessario sostituire questa produzione con più rinnovabili. È inevitabile e dobbiamo fare presto”.

Un’accelerazione del percorso, dunque? Esattamente quello che sta succedendo.

“Questo sta avvenendo dopo il Covid, così come noi avevamo previsto, nonché da quando è iniziata la crisi ucraina: in questa occasione qualcuno ha pensato che venisse decretata la fine delle rinnovabili. E invece non è stato così. Anzi, la nuova capacità installata ha superato quella delle fonti tradizionali e nell'ultimo anno si è attestata all’83% del totale”.

La Camera spiega in questo modo il perché tutto ciò si stia verificando: “L'aver aggiunto alla componente energia quella della sicurezza energetica ha generato, inevitabilmente, un'accelerazione, poiché tutti hanno capito che un mercato decentrato e con più attori è meno geopoliticamente rilevante e oggi andiamo verso una condizione di concorrenza che permette di cambiare fonti di approvvigionamento e lavorare in maniera più efficiente. E questo porta a evitare che qualcuno possa usare l’energia come un’arma a fini politici”.

La situazione di crisi, dunque, ha portato a una spinta più decisa in direzione della transizione energetica con “un impatto forte sull'efficienza dei consumi. E questo ci ha portato a cercare le rinnovabili per aumentare la nostra capacità di resilienza e di approvvigionamento da fonti diverse”, argomenta il dirigente.

Fonti diverse, ma tutte con le medesime prospettive di sviluppo?

La Camera fa delle distinzioni che riguardano i singoli Paesi e le relative “ricchezze” naturali. A partire dall’Italia: “Non c'è dubbio. Tutte le rinnovabili possono crescere in questo Paese. Ma qualche differenza c'è. Sicuramente un valore aggiunto di questo territorio è rappresentato dai tanti chilometri di costa. E questo ci fa pensare alle rinnovabili offshore ma in generale sono tutte importanti, compreso l’idrogeno verde”.

Energie diverse, dunque, ma in sinergia per concorrere a raggiungere gli obiettivi.

“Bisogna guardare alle rinnovabili come a un insieme che si aiuta e si sostiene”, conclude La Camera che, poi, ci lascia un ultimo commento sulle forme di autoproduzione e autoconsumo: “le comunità energetiche diventano un modo per ottimizzare il rapporto tra l'energia e la popolazione. E quando si parla di questi argomenti, mi viene in mente l’esempio dell’Indonesia dove alcune comunità hanno sfruttato una risorsa idrica, un piccolo ruscello, per produrre l'energia necessaria ad alimentare il sistema scolastico, un modo di utilizzare l’energia in surplus per aiutare i servizi locali”.

Il futuro è già qui

L’energia, dunque, è al centro delle sfide imposte dal cambiamento climatico ma rappresenta anche una delle sue soluzioni. Se, da un lato, i combustibili fossili sono tra i principali responsabili di oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra e di quasi il 90% di quelle di anidride carbonica, dall’altro l’energia verde rappresenta la svolta per il futuro del nostro Pianeta.

Per combattere e mitigare gli impatti del global warming, queste emissioni vanno ridotte del 55% entro il 2030 per poi raggiungere l’obiettivo Net Zero nell’altro traguardo temporale fissato, il 2050.

Un prezioso alleato è rappresentato dalle principali fonti rinnovabili, accessibili e sostenibili al tempo stesso. Si trovano in natura e sono attorno a noi: il sole (energia solare), il vento (eolica), l’acqua (idroelettrica e marina) e il calore della terra (geotermia).

Tutto ciò è ormai molto chiaro, e sono le stesse politiche comunitarie a spingere per accelerare questa transizione dalle fonti fossili alle fonti di energia rinnovabile.

Pensiamo, per esempio, al Green Deal europeo: una serie di iniziative strategiche - riguardanti clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile - che gli Stati membri sono stati chiamati ad avviare sulla strada di una “transizione verde”, con l'obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e sostenere la trasformazione dell’UE in una comunità equa e prospera con un'economia moderna, competitiva ed ecologicamente sostenibile.

Fra le altre misure europee in sostegno ai macro-obiettivi di decarbonizzazione, c’è anche il piano RePowerEU che punta a diversificare la produzione per ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili russi (e non solo) e accelerare la transizione energetica, aumentando, allo stesso tempo, la resilienza del sistema energetico europeo.

Queste misure si aggiungono ad un vero e proprio piano industriale, il Green Deal Industrial Plan, volto ad aumentare la competitività dell’industria dell’UE a zero emissioni e a procedere più veloci sulla via della transizione.

Tutto ciò è possibile soprattutto grazie alle fonti rinnovabili. Ma quali sono esattamente, e come funzionano?

 

Le varie tipologie

Nel 2022, secondo i dati di Irena, l’83% di tutta la capacità elettrica aggiunta è stata ottenuta da queste fonti inesauribili e green. Un potenziale importante che è sotto gli occhi di tutti.
Ma quali sono quelle che possiamo utilizzare per produrre energia? Ecco le più comuni:

  • energia solare;
  • energia eolica;
  • energia idroelettrica;
  • energia geotermica.

L’energia solare

Il solare è la fonte rinnovabile per eccellenza, in quanto inesauribile e fortemente versatile. Permette, infatti, di produrre energia elettrica o termica utilizzando la luce del sole. Come? Attraverso i pannelli fotovoltaici, ovvero quei dispositivi che permettono di convertire l'energia solare in elettrica mediante effetto fotovoltaico, e che contengono celle realizzate con materiali semiconduttori - come il silicio - per sfruttare i fotoni provenienti dai raggi del sole, i quali, una volta assorbiti, rilasciano elettroni, creando così energia elettrica.

Oggi la maggior parte dei pannelli è bifacciale e, grazie a questa tecnologia, si riesce a generare energia da entrambi i lati della cella fotovoltaica, aumentando in questo modo la produzione rispetto ad un modulo tradizionale. 

I pannelli solari possono essere posizionati ovunque purché ci sia abbastanza luce: possiamo trovarli sui tetti, come nei campi aperti. Quanto più elevata sarà l’esposizione, tanto più alto sarà il potenziale dell’energia elettrica prodotta. E questo è già uno dei maggiori punti di forza e, allo stesso tempo, di debolezza del fotovoltaico.

In assenza di sole, infatti, nelle zone in cui l’esposizione non è elevata e le condizioni meteorologiche sono avverse, non è possibile produrre la stessa quantità di energia che si può ottenere nelle aree più “assolate”. I pannelli fotovoltaici restano comunque una buona alternativa anche quando il cielo è nuvoloso.

La produzione annua di un pannello fotovoltaico da tetto varia, quindi, in base alla sua posizione geografica, alla sua esposizione e alla sua inclinazione. Per esempio, nel caso di un impianto da 3 kW installato a Roma, con orientamento a sud e inclinazione di 30°, la produzione annua stimata è pari a circa 4.400kWh. Lo stesso impianto a Torino produrrà, invece, circa 3.900kWh, mentre a Siracusa arriverà oltre i 4.700kWh. 

Per conservare l’energia prodotta, il sistema - e questo accade con ogni tipo di rinnovabile - utilizza varie soluzioni di storage, tecnologie “fisiche” rappresentate, per esempio, da batterie che possono immagazzinarla in qualsiasi momento essa venga prodotta e renderla disponibile quando necessaria: una sorta di backup energetico, insomma.

Tra i vantaggi del solare possiamo annoverare il fatto che i pannelli richiedono poca manutenzione, possono portare benefici ai singoli utenti, ma anche a tutta la comunità che ruota intorno a essi, diminuiscono i costi in bolletta e aumentano i valori degli immobili dove sono montati. Inoltre, si possono collocare anche su altre superfici come i terreni agricoli, e aiutano a dare una nuova vita a quelli non utilizzati, per esempio attraverso il modello dell’agrivoltaico. Gli studi dimostrano che per raggiungere gli obiettivi UE l’occupazione del suolo sarebbe comunque minima: per realizzare gli 85 GW aggiuntivi previsti dallo scenario REpowerEU si stima una occupazione potenziale pari a circa lo 0,3% dell’intero territorio italiano e di circa lo 0,6% se rapportato al terreno solo agricolo.

Fra i punti di debolezza si possono segnalare, invece, i costi non ancora alla portata di tutti e la “non programmabilità” (data dalla sua dipendenza dalle condizioni meteorologiche) di questo tipo di fonte.

Si tratta, tuttavia, di condizioni che, invece, negli ultimi anni hanno avuto sviluppi positivi grazie all’abbassamento dei costi e alle innovazioni tecnologiche per l’installazione dei pannelli.

 

L’energia eolica

Nel caso dell’eolico l’elettricità viene prodotta sfruttando il vento. Ne parlavano già gli antichi egizi e, nell’immaginario collettivo, la si associa ai famosi mulini a vento contro i quali Don Chisciotte si scontra nel capolavoro di Cervantes del XVII secolo. Tuttavia, bisognerà aspettare la seconda metà del 1800 per sfruttarla a pieno.

Le pale eoliche utilizzate oggi sono, di fatto, una versione aggiornata proprio di quei mulini di cui parla il romanzo spagnolo. Per fare un esempio, analizzando una turbina di grandi dimensioni, essa possiede solitamente tre pale che compiono 10-25 giri al minuto.
Per azionarle è necessario che il vento soffi a una velocità compresa fra i 10 e i 15 chilometri orari. Se supera, invece, i 90 chilometri orari, il procedimento si blocca per motivi di sicurezza.  

Le turbine eoliche si trovano su torri alte fra i 30 e i 120 metri, hanno una navicella che è il loro cuore tecnologico, alla cui estremità si trova il rotore dove sono fissate le pale e dove l’energia cinetica viene tradotta in elettricità. Grazie a un moltiplicatore di giri, le rotazioni vengono velocizzate e un generatore elettrico trasforma tutto in elettricità, la quale viene, poi, trasferita in un trasformatore che la modifica in modo tale da poter essere distribuita nell’infrastruttura di rete.

Una grande turbina con una capacità di 2,5-3 MW è in grado di produrre circa 6-7 milioni di kWh all’anno, l’equivalente del consumo quotidiano di circa un milione di famiglie.

Il parco eolico è l’insieme di più generatori con taglie che vanno dai 600 kW ai 5 MW. Si possono trovare sulla terraferma (ad almeno 3 chilometri dalla costa, on-shore), vicino alle coste (near-shore) e in mare aperto o nei laghi (off-shore).

Fra i punti di forza dell’eolico vale la pena, innanzitutto, segnalare il fatto che si tratta di una fonte inesauribile di energia, come altre, che permette di ridurre drasticamente le emissioni di CO2 con costi di manutenzione contenuti. Come per le altre green, anche questa energia può creare posti di lavoro e portare benefici alle comunità.

Si tratta, quindi, anche di una fonte rinnovabile economicamente vantaggiosa: le pale e i parchi eolici producono una delle energie a più buon mercato tra quelle oggi disponibili. Inoltre, l’eolico può essere facilmente usato in aree remote e rurali, come fattorie o comunità isolane.

Fra i punti di debolezza troviamo l’incostanza del suo elemento principe, il vento.
Se non soffia o se è troppo forte, infatti, non si può produrre energia. 

 

L’energia idroelettrica

L’idroelettrica è la fonte alternativa più antica sfruttata dall’uomo: i suoi primi utilizzi risalgono, infatti, addirittura al 100 a.C.

Mette insieme acqua e forza di gravità, sfruttando l’energia potenziale gravitazionale che possiede una massa d’acqua a una determinata altimetria o dislivello ottenuto dalla differenza di quota fra bacino e turbine.

L’energia si ricava dal corso di fiumi e laghi naturali o artificiali, creati con delle dighe. L’acqua passa attraverso grandi condotte che portano il liquido verso la centrale dove si trovano le turbine che producono l’elettricità.

Per quanto riguarda le turbine, esse variano a seconda della portata d’acqua e dell’entità del dislivello: sono la Francis, la Pelton e la Kaplan, e tutte e tre devono il loro nome ai loro inventori. La prima, ideata dall’inglese James B. Francis, è quella più usata.

Le prime dighe, invece, risalgono alla Mesopotamia: questi sbarramenti del corso naturale di fiumi e laghi ne aumentano il dislivello portando a un migliore utilizzo del “salto” dell’acqua.

Fra i vantaggi dell’idroelettrico ci sono la sua programmabilità e la sua ciclicità che ne fa, appunto, una fonte inesauribile e affidabile, utilizzabile in aree in cui si registra molta piovosità, e in cui ci sono colline o montagne da sfruttare per “liberare” tutto il potenziale dell’acqua.

Fra le sue debolezze vanno considerati gli elevati costi di investimento e i possibili impatti ambientali, in particolare se non vengono realizzati studi adeguati sul contesto idrogeologico nel quale si creano centrali o dighe.

 

L’energia geotermica

Questa fonte rinnovabile sfrutta il calore proveniente dall’interno della Terra, dovuto all’energia termica prodotta nei processi di decadimento nucleare di elementi contenuti nelle rocce quali uranio, torio e potassio: il calore generato fa sì che la temperatura aumenti con la profondità a partire dalla superficie terrestre verso il centro della Terra.

Esiste anche la geotermia a bassa entalpia, che sfrutta la temperatura costante del sottosuolo fino a 100 metri per scambiare calore usando il terreno come un bacino termico.

In natura, sono presenti varie manifestazioni naturali dell’energia geotermica: i soffioni boraciferi, che rappresentano violente fuoriuscite di vapore acqueo da spaccature o perforazioni, come pure i geyser, un fenomeno di vulcanismo secondario formato dalle note colonne di acqua e vapore che devono il loro nome a Geysir, in Islanda, dove si trova il più celebre.

Esistono anche le fumarole, anch’esse fenomeno di vulcanismo secondario: si tratta di emanazioni di vapore e gas vulcanici che si verificano nelle vicinanze dei crateri di vulcani attivi.

Il nostro pianeta ha un potenziale che si aggira intorno ai 12.600.000 Joule ma oggi, tuttavia, l’idroelettrico copre meno dell’1% della produzione energetica mondiale.

Per fare un esempio, in Italia, parliamo di 6 terawattora di energia ricavata ogni anno e di una potenza installata dell’ordine degli 1,1 gigawatt.

Il suo fascino è noto fin dalla preistoria e l’Italia si è distinta a livello mondiale. Al centro dell’energia geotermica c’è stato, fino agli anni Sessanta, Larderello, una piccolissima frazione in provincia di Pisa, che ha avuto il primato globale della produzione fino a quando negli anni ’80 la tecnologia non si è diffusa su larga scala nel resto del mondo.   

Attraverso le turbine, il moto del vapore ad alta pressione viene tradotto meccanicamente in elettricità, la quale viene poi dirottata a un trasformatore. Al termine del suo utilizzo, il vapore viene convertito in acqua fredda che viene usata per abbassare la temperatura del vapore o per essere reintrodotta nel suolo dove darà vita a un altro ciclo di produzione di energia.

Fra i punti di forza del geotermico vi è il fatto che è sempre disponibile, prevedibile e programmabile, anche in caso di condizioni meteorologiche avverse e non risente dell’alternanza tra notte e giorno.

Rispetto all’eolico e ai pannelli fotovoltaici, l’utilizzo di questa fonte richiede spazi ridotti, e la maggior parte delle sue componenti è interrata. Si tratta di una forma di energia silenziosa e redditizia a parità di potenza installata, poiché può funzionare a pieno regime senza sosta. Come le altre rinnovabili può aumentare i posti di lavoro e gli impianti richiedono poca manutenzione.

Fra le sue debolezze c’è il fatto di essere molto legata al luogo di produzione: l’individuazione dei giacimenti è molto difficile e può avere un impatto negativo sul paesaggio.

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*La potenza delle FER più comuni in Italia al 31/12/2022 (fonte: Terna)

Le rinnovabili e la rete di distribuzione

Tutte queste fonti rinnovabili stanno avendo una diffusione a fronte dei macro-obiettivi di decarbonizzazione, e ciò non può non avere un impatto sulla rete, come ci spiega Andrea Caregari, Responsabile Esercizio e Manutenzione Rete di E-Distribuzione.

“Negli ultimi anni, si sta assistendo a una proliferazione di produttori e prosumer collegati all’infrastruttura. Rispetto al passato, è cambiato radicalmente il paradigma di connessione alla rete per cui gli utenti non sono più collegati esclusivamente per ricevere servizi (clienti passivi), ma partecipano attivamente alla produzione, anche solo per ottenere un vantaggio economico, che però va a beneficio di tutta la comunità, non solo del produttore”, spiega il manager.

Altra caratteristica della produzione di energia da fonti green che impatta sulla rete è che essa può avvenire a diverse potenze su tutti i livelli di tensione, e questo fa sì che “gli impianti di generazione distribuita possono essere considerati delle vere e proprie centrali installate in vari punti della rete che immettono energia con flusso inverso rispetto a quello tradizionale”, prosegue.

Per questo motivo “gestire in modo ottimale la generazione distribuita è uno degli obiettivi più complessi e sfidanti per un DSO che, a tal fine, viene regolarmente guidato e supportato da organismi di normazione come il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) e l’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente)”.

Rispetto a questa nuova configurazione di rete è fondamentale un processo di digitalizzazione dell’infrastruttura - ci racconta Caregari - “per abilitare i nuovi attori, produttori e prosumer, alla fornitura di servizi che prima potevano essere offerti solo dalle grandi centrali”.

Tale processo, inoltre, può essere facilitato non solo dalla digitalizzazione, ma anche dalla tecnologia, da nuovi strumenti e sistemi per il (tele)controllo degli impianti di produzione, quali per esempio i Controllori Centrali di Impianto, che instaurano un canale comunicativo diretto tra produttore e DSO con fornitura di misure e possibilità di scambiare segnali e comandi.

Le rinnovabili e la ricerca

Quando si parla di tecnologia, non si può fare a meno di includere l’analisi e la ricerca.

Per comprendere che cosa sta emergendo in Italia in tema di rinnovabili parliamo con Michele Benini, Direttore dell’Energy Systems Development Department presso la Ricerca sul Sistema Energetico - RSE SpA, società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso il Gruppo societario GSE S.p.A. da sempre impegnata nell’analisi, nello studio e nella ricerca applicata all’intero settore energetico.

Partiamo dal contributo dell’RSE in materia:

“RSE da sempre si occupa di fonti energetiche rinnovabili con ricerche e sperimentazioni sulle tecnologie (per esempio, a Piacenza, abbiamo un laboratorio che produce celle solari a multigiunzione ad altissima efficienza), con studi sui potenziali di produzione e di sviluppo delle diverse fonti (si pensi all’Atlante Eolico, che quantifica la ventosità del territorio nazionale sia onshore che offshore), con analisi di scenario dell’inserimento di tali fonti nel sistema energetico e con valutazioni dell’impatto della loro aleatorietà sul sistema elettrico in generale e sullo sviluppo e sull’esercizio delle reti elettriche, sia di trasmissione che di distribuzione. Un tema, quest’ultimo, che ci ha già visto proficuamente collaborare con E-Distribuzione. Anche gli aspetti regolatori, di cui ci occupiamo, sono molto importanti. Per esempio, sul tema dell’autoconsumo collettivo e delle Comunità Energetiche Rinnovabili abbiamo fornito supporto al Governo per la definizione del quadro legislativo e abbiamo avviato un progetto ricerca specifico che ci ha portato a stringere molteplici accordi di collaborazione, finalizzati a valutare casi di studio in grado di dare utili indicazioni per definire modelli di sviluppo efficaci ed efficienti, tenendo conto delle diverse tipologie di soggetti che possono partecipare a questi nuovi schemi collettivi di produzione e consumo di energia, nonché dei relativi contesti territoriali e sociali”, esordisce l’esperto.

Sulla base dei suoi studi l’RSE mette in rilievo una serie di scenari per gli sviluppi futuri delle rinnovabili.

In particolare la società, insieme con il GSE (Gestore dei servizi energetici) e l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e su indicazioni del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), “ha di recente lavorato alla definizione dello scenario alla base della nuova versione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), mediante il quale ciascuno Stato Membro dell’Unione specifica come intende conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dalla policy europea per l’anno 2030. Quello sviluppato per l’Italia è particolarmente ambizioso in termini di sviluppo delle FER, in particolare elettriche, poiché al 2030 si pone l’obiettivo di coprire il 65% dei consumi finali di energia elettrica con fonti rinnovabili, a fronte del 36% dell’anno 2021”, racconta Benini.

In questo, un ruolo chiave sarà ricoperto dal fotovoltaico e dall’eolico, per i quali occorre puntare a una capacità installata al 2030 rispettivamente di 79 GW e di 28 GW, a fronte di 25 GW e 12 GW nel 2022.

Lo sviluppo di tali fonti è funzionale anche al conseguimento degli obiettivi di incremento dell’efficienza energetica, da realizzare in larga misura mediante elettrificazione dei consumi (auto elettriche, pompe di calore, ecc.).

A fronte di tali goal, aggiunge l’esperto, “è necessario attivare tutti i canali possibili a supporto. Dunque, non solo iniziative merchant per impianti di grande scala, ma anche generazione distribuita con impianti di media e piccola dimensione: quelli per autoconsumo individuale e collettivo nell’ambito di uno stesso edificio o condominio e, su scala più ampia, quelli al servizio di una comunità. È evidente come più utenti, associandosi in uno schema collettivo di produzione e consumo di energia, possano beneficiare di economie di scala investendo insieme in impianti più grandi, e quindi con costi specifici più bassi di quelli che avrebbero sostenuto realizzando piccoli impianti al servizio dell’autoconsumo singolo”.

L’incremento di tale generazione distribuita ha origine, secondo Benini, dalla crescita dei prezzi del gas e, di conseguenza, dell’energia elettrica che si è verifica nel post-pandemia e a seguito della guerra russo-ucraina, ed è stato uno degli elementi che di recente ha spinto molto l’autoconsumo, insieme all’impulso dato da provvedimenti come il Superbonus 110%.

“Un nuovo input arriverà sicuramente dal completamento del quadro normativo che abiliterà la realizzazione di Comunità Energetiche Rinnovabili di grandi dimensioni, sottese a ciascuna cabina primaria. Mi riferisco, in particolare, al nuovo decreto che definirà gli incentivi sull’energia condivisa nell’ambito di schemi di autoconsumo a distanza, autoconsumo collettivo e CER. Più in prospettiva, i prosumer, sia individuali che collettivi, potrebbero beneficiare di ulteriori revenue stream partecipando ai mercati locali della flessibilità, di cui stanno partendo ora i primi progetti pilota, quali il progetto EDGE di E-Distribuzione”, aggiunge.

“Direi che finalmente stiamo recuperando il tempo perduto in termini di promozione dello sviluppo delle fonti rinnovabili in generale, e dell’autoconsumo singolo e collettivo in particolare, avendo via via semplificato le procedure autorizzative e sviluppato il quadro normativo e regolatorio a supporto che richiede ancora il completamento di qualche tassello (tra cui il decreto sulle aree idonee e il decreto FER-X sugli incentivi) per raggiungere la piena efficacia. Certamente l’enorme lavoro svolto da E-Distribuzione per gestire centinaia di migliaia di connessioni di nuovi impianti di generazione alla propria rete costituisce un’eccellenza da portare ad esempio non solo in Europa”, conclude Benini.

Autoproduzione e autoconsumo

Le rinnovabili sono, quindi, l’elemento cardine di una trasformazione in atto che non riguarda solo policy maker e istituzioni, ma mette in prima linea anche i cittadini stessi, soprattutto per via della possibilità di far sì che diventino essi stessi produttori di energia e contribuiscano alla transizione green anche a loro vantaggio, economico e non solo. In ballo ci sono sia la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili che il costo della bolletta.

Ogni utente, infatti, utilizzando un impianto di energia rinnovabile proprio, spende meno e, indirettamente, abbassa i costi della bolletta di tutti gli altri perché l’uso di queste fonti ha ripercussioni sul prezzo generale dell’energia.

Nel nostro Paese sono in forte crescita le installazioni di impianti da rinnovabili e concetti come autoproduzione e autoconsumo iniziano a far parte del lessico comune.

 

Che cos’è l’autoproduzione

L’autoproduzione, se applicata all’energia elettrica, consiste nella generazione di elettricità da parte di un privato o di un’impresa al fine di soddisfare i propri fabbisogni, ed è destinata principalmente all’autoconsumo. Gli utenti vengono così definiti “prosumer”: il termine, utilizzato per la prima volta dal sociologo Alvin Toffler, è infatti una crasi tra “producer” (produttori) e “consumer” (consumatori). Queste persone scommettono sulle rinnovabili sia per ragioni di sostenibilità ambientale che per motivi di convenienza economica: si riducono i costi in bolletta, ma anche le emissioni di gas serra.

Ma come si fa ad “autoprodurre”? Ci sono vari modi: dall’impianto fotovoltaico a quello di cogenerazione, utilizzato soprattutto in ambito industriale, dove energia elettrica ed energia termica vengono prodotte insieme attraverso il riuso di quest’ultima generata dal processo di combustione.

L’impianto per l’autoproduzione poi può essere connesso alla rete di distribuzione con la quale può scambiare energia, “cederla” quando è prodotta in eccesso, oppure prelevarla quando c’è una necessità o un fabbisogno maggiore.

In Italia, oltre un milione di persone ha già scelto di collegare il proprio impianto di produzione alla rete di E-Distribuzione diventando produttore di energia.

Nei primi sette mesi del 2023 è stato superato il numero di impianti attivati nel 2022, dopo che già lo scorso anno le connessioni erano raddoppiate rispetto al 2021.

Gli italiani sono dunque pronti a prendere parte a questa grande sfida. Ma come funziona?

 

Come funziona l’autoconsumo

L’autoconsumo è la possibilità di consumare in loco l'energia elettrica prodotta dall'impianto di generazione che si trova in un determinato luogo (casa, ufficio, stabilimento produttivo, eccetera) per far fronte ai propri fabbisogni energetici. 

Un approfondimento su come funziona l’autoconsumo viene direttamente dal quadro normativo e regolatorio. Se diamo un’occhiata al decreto legislativo dell’8 novembre 2021 n°199 che promuove l’uso delle rinnovabili in Italia si parla di cliente finale che diviene autoconsumatore di energia rinnovabile. Cosa vuol dire? Produce e accumula l’energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo, cede l'energia elettrica rinnovabile autoprodotta e può offrire servizi ancillari e di flessibilità.

Facciamo un piccolo excursus dei vari regolamenti a livello europeo e nazionale.
Partiamo dalle prime direttive comunitarie che si rifanno al biennio 2018-2019:
la n°2018/2001 - RED II (scadenza recepimento: giugno 2021) dedicata alla promozione delle energie rinnovabili e la n°2019/944 Direttiva UE del Parlamento europeo e del Consiglio che detta le norme comuni ai Paesi membri relative al mercato interno dell’energia elettrica (scadenza recepimento: dicembre 2020).
In Italia nel 2020 arrivano tre provvedimenti: il Milleproroghe (DL 162/2019), convertito in legge n°8 del 2020; la Delibera ARERA 318/2020/R/eel che regola in via transitoria l’energia oggetto di autoconsumo in attuazione di quanto disposto dal decreto-legge n°162/2019 e il Decreto del 15 settembre 2020.

Nel 2021, il Decreto Legislativo dell’8 novembre 2021 n°199 recepisce la Direttiva europea RED II e il n°210 recepisce, invece, le regole del mercato interno dell’energia.
Il DCO (Documento per la Consultazione) ARERA 390/22 è, invece, una consultazione che fornisce orientamenti in materia di regolazione a regime delle configurazioni per l’autoconsumo diffuso previste dai decreti legislativi 199/21 e 210/21, la quale ha preceduto la pubblicazione della Delibera 727/2022/R/eel.

Con l’autoconsumo, cittadini, condomini, PA o imprese possono ottenere numerosi vantaggi anche in termini di:

  • Agevolazioni fiscali (detrazioni o super ammortamento): per esempio, per i privati, la realizzazione di un impianto fotovoltaico sul tetto di un edificio può comportare una detrazione dall'Irpef del 50% dei costi di realizzazione. 
  • Risparmio in bolletta: più energia si autoconsuma e più si riducono i costi delle componenti variabili della bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte quali accise e IVA).
  • Valorizzazione dell’energia prodotta: produrre energia con un impianto fotovoltaico può dare una fonte di guadagno grazie ai meccanismi incentivanti gestiti dal GSE, il Gestore dei Servizi Energetici.

Con l’autoconsumo, dunque, si avvia la “trasformazione” dell’utente che smette di essere un semplice consumatore e diventa anche produttore: questa nuova fruizione dell’energia ci porta alla conoscenza dei prosumer.

I prosumer e la rete

Il prosumer è una figura emergente nel nuovo scenario dell’energia: dai pannelli fotovoltaici passando per le pale eoliche, sono differenti le tecnologie con cui i cittadini possono diventare produttori, e allo stesso tempo, consumatori di energia rinnovabili.

Il termine nasce, infatti, dall’unione di queste due realtà che fino a qualche decennio fa erano ancora totalmente separate passando da un ruolo prettamente passivo a uno più attivo, scommettendo su un concetto innovativo di produzione di energia pulita.

Ma chi sono? Attualmente, secondo i dati a disposizione di E-Distribuzione, sono soggetti quali piccoli imprenditori o detentori di attività commerciali o utenti domestici, residenziali, che hanno connesso impianti inferiori a 10 kW. 

Oggi sono più di un milione i produttori connessi alla rete, rappresentando una capacità complessiva superiore ai 30 GW. È un fenomeno in crescita con numeri destinati ad aumentare.

Basti pensare che, nel 2023, dall’inizio dell’anno a luglio sono stati attivati alla rete di
E-Distribuzione 223.331 impianti per un totale di 2,6 GW di potenza installata.

Attualmente siamo a oltre 245.000 allacci effettuati, contro i 204 mila di tutto lo scorso anno.

Nel confronto con lo stesso periodo del 2022 sono anche cresciute del 150% le richieste di connessione alla rete da parte dei titolari di impianti di piccola taglia: un dato che evidenzia come sempre più famiglie e imprese scelgano di dotare le proprie case e i propri fabbricati di pannelli solari e altre tecnologie rinnovabili che permettono di conseguire importanti benefici economici e ambientali.

Come proseguirà questo trend? Secondo le nostre previsioni entro la fine del 2023 è attesa l’attivazione di oltre 370 mila impianti per una potenza totale che supererà i 4 GW.

Per gli anni a seguire, 2024-2026, si stima un ulteriore aumento delle connessioni - nell’ordine di oltre 400 mila all'anno - anche legato all’ormai prossima delibera dell’ARERA che, su nostre proposte e suggerimenti, semplificherà ulteriormente l’iter di connessione per gli impianti da fonte rinnovabile.

“Queste stime confermano la nostra fiducia sul percorso della transizione energetica, e ci confortano sul fatto che il trend porterà noi e le istituzioni a semplificare, agevolare e incentivare gradualmente queste realizzazioni”, ci dice Antonino Zecca, Responsabile Operazioni Commerciali E-Distribuzione.

Numeri, dunque, che dimostrano l’importanza del contributo dei produttori nel percorso verso la transizione energetica.

“Ci sono due motivi per cui l’apporto dei prosumer è rilevante” - prosegue il manager - “il primo riguarda la produzione di energia da fonte rinnovabile che, come sappiamo, secondo i grandi obiettivi di decarbonizzazione, deve sostituirsi a quella prodotta da combustibili fossili. Il secondo è relativo alla cosiddetta generazione distribuita che ha cambiato la gestione stessa della rete. Con l'assetto standard, che è basato su grandi centrali che producono energia che viene trasportata sulle reti a lunga distanza, si sono sempre verificate delle perdite fisiche di energia che quindi non viene totalmente utilizzata. Invece, adesso, con i tanti piccoli impianti distribuiti sul territorio, molti dei quali producono per l’autoconsumo, tutto questo non avviene e possiamo, quindi, parlare anche di un'efficienza di quantità di energia consumata su energia prodotta”.

E per queste cifre l’Italia come si pone rispetto al resto d’Europa? Zecca ci indica che i nostri sono tra i numeri più alti in Europa in senso assoluto (rispetto al numero di cittadini) ma non a livello di potenza in quanto il fenomeno riguarda più i piccoli che i grandi impianti.

“Siamo all'avanguardia dal punto di vista della consapevolezza dei cittadini, ma restano ancora difficoltà legislative e normative e pregiudizi di enti locali per la realizzazione di grandi impianti”, aggiunge.

Tra le aree di miglioramento per proseguire sulla strada delle FER ci sono quindi tutte le questioni relative all’iter burocratico delle autorizzazioni degli impianti di produzione, soprattutto di quelli più grandi, e i relativi tempi.

“Al momento l'energia che abbiamo installato da fonte rinnovabile copre una percentuale tra il 25 e il 30 per cento del fabbisogno nazionale. Per arrivare a colmarlo totalmente con questo trend di connessioni piccole ci vorrebbero 30 anni. Se vogliamo veramente arrivare all'obiettivo 2030 ci deve essere uno sviluppo di grossi impianti industriali”, spiega Zecca.

Lo stesso discorso vale per i vincoli architettonici, archeologici, e ambientali che hanno impatto soprattutto sulle grandi città, ossia laddove c’è un maggior consumo, e dove azzerare la distanza tra produzione e consumo sui tetti delle case diventa complesso proprio per questo tipo di autorizzazioni.

Non grossi impianti, dunque, ma piccole strutture diffuse, quelle che vediamo aumentare maggiormente. La ragione? Sicuramente possiamo considerare il vantaggio economico di un risparmio in bolletta insieme al contesto geopolitico ed energetico che ha fatto emergere sempre di più la necessità di renderci indipendenti dal gas russo.   

Produttori: gli impatti sulla rete e le sfide per il DSO

Ma cosa cambia e quali sono gli effetti sulla rete e sul DSO di un così grande numero di produttori connessi all’infrastruttura?

Innanzitutto, come ci racconta ancora Zecca, tali numeri vanno gestiti.

“L’anno scorso, a fronte di 350.000 richieste e più di 2 milioni di interazioni, abbiamo dovuto potenziare e sviluppare tutto il nostro modello di customer care e di contatto con i clienti per il volume enorme di interazioni dirette che prima non eravamo abituati ad avere”, racconta l’esperto.

Poi, tutto questo ha avuto conseguenze sulla rete: “La diffusione di tanti piccoli impianti sul territorio ha portato a un alleggerimento in parte delle reti elettriche, una redistribuzione dell'energia cambiando anche il nostro modo di progettare le connessioni e la rete stessa, tenendo in considerazione anche che quello dei produttori è ormai un fenomeno costante”, prosegue Zecca.

Che cosa significa gestire una rete in cui sono connessi milioni di produttori?
“Vuol dire gestire un’infrastruttura in cui esistono milioni di piccole e medie centrali distribuite sul territorio, che possono fornire servizi di rete prima gestiti soltanto nelle grandi centrali. Significa abilitare questi produttori alla fornitura di tali servizi, per cui è necessaria innanzitutto un’infrastruttura di trasmissione dati, e in seguito anche una vera infrastruttura di telecontrollo che possa predisporre l’impianto del produttore a funzionare nelle condizioni richieste dal DSO. In sostanza la grande diffusione di produttori porta inevitabilmente con sé la digitalizzazione delle reti”, aggiunge Andrea Caregari, Responsabile Esercizio e Manutenzione Rete di E-Distribuzione.

E le sfide maggiori che si stanno affrontando?

E-Distribuzione sta potenziando tutte le attività di interfaccia con i produttori, e non solo: “stiamo proseguendo la collaborazione e le interlocuzioni con le istituzioni per semplificare sempre di più l'iter di connessione e la journey del produttore che ha possibilità di connettersi in tempi rapidi e certi”, osserva Zecca.

In più “stiamo realizzando, anche nell’ambito del PNRR, investimenti mirati a potenziare la rete nell'ottica di poter aumentare la hosting capacity, quindi la capacità di ospitare gli impianti di produzione in alcune realtà”.

L'avvento di tanti piccoli impianti diffusi sul territorio nazionale fa sì che la rete di distribuzione non sia più un soggetto passivo che prende energia da quella di Alta e la veicola verso i clienti finali.

Ma diventa qualcos’altro e subisce un’evoluzione, anzi una rivoluzione, che così Zecca ci descrive: “La rete è sempre più attiva, intelligente. In questo fenomeno, qual è il passaggio ulteriore? L'integrazione totale di tutti quelli che possono essere servizi e prodotti del mondo energetico, grazie alla generazione distribuita, alla mobilità con le infrastrutture di ricarica, ai sistemi di accumulo e ai contatori di nuova generazione”.

Una rete che diventa, dunque, anche una piattaforma, a dirlo è anche lo stesso Caregari: “In 20 anni abbiamo connesso 1 milione di produttori, entro il 2030 dovremmo connetterne altri 2, cioè il doppio in meno della metà del tempo. La rete diventerà quindi sempre di più una grande piattaforma per l’abilitazione alla fornitura di servizi, con l’obiettivo di aumentarne la resilienza. Sicuramente servirà un intervento normativo e regolatorio (ARERA per la parte regolatoria e a seguire il CEI per la normativa tecnica di dettaglio) ma dal punto di vista tecnico la strada è già tracciata”.

Cosa cambia tra autoconsumo e autoconsumo diffuso

Mentre l'autoconsumo consiste nella possibilità di consumare in loco - nella propria abitazione, in un ufficio, in uno stabilimento produttivo, ecc. - l'energia elettrica prodotta da un impianto di generazione per far fronte ai propri fabbisogni energetici, l’Autoconsumo Diffuso è fondamentalmente la possibilità per i consumatori finali di associarsi per condividere l’energia elettrica prodotta all’interno della medesima configurazione.

 

Le CER

Le Comunità Energetiche Rinnovabili sono la più famosa configurazione di autoconsumo diffuso (maggiori informazioni si possono trovare qui), ovvero un soggetto giuridico autonomo che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria (a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non costituisca l'attività commerciale e/o industriale principale).

I loro azionisti o membri che esercitano potere di controllo sono persone fisiche, piccole e medie imprese (PMI), enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, del terzo settore e di protezione ambientale.

Terzo elemento importante che caratterizza le CER è che non sono mirate ai profitti finanziari, ma hanno come obiettivo principale fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai propri azionisti o membri o alle aree locali in cui opera.

Quali sono questi vantaggi?

  • Ambientali: grazie all’avvicinamento elettrico di produzione e consumo nella medesima ora si riducono le perdite di energia dovute al trasporto della stessa. Inoltre, gli incentivi previsti favoriscono l'introduzione di fonti rinnovabili di energia come il sole e il vento, che producono elettricità senza emissioni di gas serra. Ciò aiuta a mitigare l'impatto del cambiamento climatico e contribuisce agli sforzi per la sostenibilità ambientale.
  • Economici: produrre energia localmente da fonti rinnovabili può ridurre la dipendenza dalle forniture di energia tradizionali, con conseguente risparmio sui costi energetici a lungo termine per i consumatori finali.
  • Sociali: L'autoconsumo diffuso incoraggia la partecipazione attiva dei membri della comunità nell'energia locale. Questo crea un senso di responsabilità condivisa e promuove la consapevolezza sull'importanza dell'efficienza energetica.

Contesto normativo e regolatorio e forme di autoconsumo diffuso

Negli ultimi anni, il sistema energetico italiano ed europeo è andato incontro a una profonda trasformazione, un mutamento che riguarda e coinvolge, in primis, l’utente stesso e il suo ruolo. Alla luce soprattutto dei macro-obiettivi da raggiungere in direzione della transizione energetica che hanno spinto verso provvedimenti e decisioni a livello europeo e internazionale.

A partire dalla pubblicazione del Clean Energy for all Europeans Package, si è aperta sempre di più la possibilità di una partecipazione attiva da parte degli utenti stessi nella generazione di energia da fonti rinnovabili, e ai mercati della flessibilità e dei servizi ancillari.

I clienti finali, consumatori di energia elettrica, possono associarsi per produrre localmente, tramite fonti rinnovabili, l'energia elettrica necessaria al proprio fabbisogno, “condividendola" secondo le norme in vigore dal decreto-legge 162/19 (articolo 42bis) e dai relativi provvedimenti attuativi, quali la delibera 318/2020/R/eel dell'ARERA e il DM 16 settembre 2020 del MIMIT.

Il provvedimento europeo è, perciò, un primo punto di partenza importante, mentre un’altra pietra miliare è rappresentata da due direttive europee successive.

L’allargamento della platea degli attori che possono concorrere al raggiungimento dei target europei di decarbonizzazione al 2030 (e 2050) è infatti uno dei capisaldi delle direttive “rinnovabili” (2018/2001/UE, meglio conosciuta come RED II) e “mercato” (2019/944/UE, o anche IEM) che definiscono il quadro giuridico a livello europeo per la partecipazione del singolo e della collettività, introducendo definizioni specifiche per gli schemi di autoconsumo (anche collettivo) e per le comunità dell’energia.

In Italia, il recepimento anticipato della RED II, attuato mediante l’art. 42-bis del DL 169/19, la Delibera ARERA 318/2020/R/eel e gli incentivi definiti dal MIMIT nel settembre 2020 (e resi operativi da GSE), ha permesso la costituzione di alcune prime comunità dell’energia.

In particolare, la delibera 318 attualmente in vigore comprende le seguenti tipologie di autoconsumo diffuso:

  • comunità energetica rinnovabile o comunità di energia rinnovabile: prevede la partecipazione aperta e volontaria di soggetti (chiamati comunemente azionisti o membri) situati nelle vicinanze di impianti di produzione che, ai fini dell’energia condivisa, risultano nella disponibilità e sotto il controllo della comunità energetica;
  • gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente: gli autoconsumatori ammessi sono titolari di punti di connessione ubicati nel medesimo edificio o condominio e l’energia elettrica immessa ai fini della condivisione deve essere prodotta da impianti di produzione rinnovabile ubicati nell’area afferente al medesimo edificio o condominio.

Con la delibera 727/2022/R/eel del 27 dicembre 2022, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha approvato il Testo Integrato Autoconsumo Diffuso (TIAD) che disciplina le modalità per la valorizzazione dell’autoconsumo diffuso per le configurazioni previste dai decreti legislativi 199/21 e 210/21, tra cui le Comunità Energetiche.

Il TIAD, che non è ancora in vigore (in attesa del decreto sugli incentivi), definisce le seguenti configurazioni di autoconsumo diffuso:

i.                gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente;

ii.              gruppo di clienti attivi che agiscono collettivamente;

iii.             Comunità Energetica Rinnovabile o Comunità di Energia Rinnovabile;

iv.             Comunità Energetica dei Cittadini (CEC);

v.              autoconsumatore individuale di energia rinnovabile “a distanza” con linea diretta;

vi.             autoconsumatore individuale di energia rinnovabile “a distanza” che utilizza la rete di distribuzione;

vii.            cliente attivo “a distanza” che utilizza la rete di distribuzione;

Tra le novità rispetto alla 318/2020/R/eel, troviamo la distinzione di due perimetri geografici:

  • la zona di mercato, che serve a individuare l'energia elettrica condivisa;
  • l'area sottesa alla cabina primaria che permette di rilevare la vera e propria energia elettrica autoconsumata.

Secondo le disposizioni regolatorie del TIAD, per accedere alle agevolazioni sull’energia autoconsumata i punti di connessione facenti parte della configurazione devono essere ubicati nell’area convenzionale sottesa alla stessa cabina primaria. All’interno di tale area convenzionale, individuata secondo quanto previsto dall’articolo 10 del TIAD, viene infatti calcolata la vera e propria energia elettrica autoconsumata, che è oggetto di maggior valorizzazione per tenere conto dei costi di esercizio delle reti elettriche evitati per effetto dell'avvicinamento geografico di produzione e consumo nella medesima ora.

Infine, altro tassello legislativo in questo percorso verso l’autoconsumo diffuso è rappresentato dall’iter che di recente (aprile 2023) il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha avviato con l’Unione Europea riguardante lo schema di decreto sulle modalità di incentivazione dell’energia elettrica prodotta da impianti rinnovabili inseriti nelle Comunità energetiche, favorendo così la diffusione di queste forme di autoconsumo di energia da fonti rinnovabili, con l’obiettivo di sostenere la crescita delle CER.

In arrivo sono previste due nuove misure: un incentivo in tariffa e un contributo a fondo perduto.

I benefici previsti riguardano tutte le tecnologie rinnovabili, come il fotovoltaico, l'eolico e l'idroelettrico. Chi vorrà associarsi in una configurazione di autoconsumo potrà ottenere una tariffa incentivante sulla quota di energia condivisa da impianti a fonti rinnovabili.

La potenza finanziabile è pari a complessivi 5 gigawatt (GW), con un limite temporale fissato a fine 2027. Riguarderà invece solo le comunità realizzate nei comuni sotto i cinquemila abitanti, la misura che permette l'erogazione di contributi a fondo perduto fino al 40% dell'investimento.

L'intervento può riguardare sia la realizzazione di nuovi impianti che il potenziamento di impianti già esistenti: in questo caso la misura è finanziata con 2,2 miliardi di euro del PNRR e punta a realizzare una potenza complessiva di almeno 2 gigawatt e una produzione indicativa di almeno 2.500 GW l'ora ogni anno.

Le CER e il ruolo del DSO

La forte crescita di produttori connessi sulla rete del DSO in Media e Bassa Tensione è sicuramente un’opportunità, ma ha anche degli impatti sull’esercizio sulla rete che prima non si erano mai verificati. La gran parte di produttori presenti sono infatti prosumer, cioè consumatori/produttori di energia che consumano solo una parte dell’energia che producono, mentre il resto è immessa in rete o immagazzinata in opportuni sistemi di accumulo.

Cosa succede allora? Per esempio, in alcune aree geografiche, soprattutto al Centro-Sud dove il carico è più basso e la presenza di grossi produttori è imponente, in alcuni momenti della giornata, se non sempre, si osserva l’inversione del flusso di potenza verso la Rete di Trasmissione.

Una situazione che interessa, dunque, l’impianto stesso della rete, soprattutto quando si parla di CER.

“Costituire una comunità energetica vuol dire incentivare i suoi componenti ad avvicinare elettricamente e temporalmente produzione e consumo di energia elettrica, permettendo in questo modo l'ottimizzazione delle architetture di rete e la riduzione delle perdite derivanti dal trasporto dell'energia. È bene ricordare che su questo tema la normativa completa è ancora in via di definizione” spiega Andrea Caregari.

Con la delibera 727/2022 ARERA ha stabilito che:

  • I membri di una CER devono obbligatoriamente essere sottesi a una stessa zona di mercato, ma per veder riconosciuta una valorizzazione della loro energia autoconsumata devono essere all’interno della stessa area convenzionale afferente alla medesima cabina primaria. 
  • Possono costituire una CER persone fisiche, enti o autorità locali o PMI, a condizione che, per le imprese, la partecipazione alla CER non costituisca la principale attività economica.
  • Possono essere inclusi impianti rinnovabili con potenza fino a 1 MW.
  • Gli impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili devono essere entrati in esercizio successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 199/21 dell’8 novembre 2021, nonché impianti di produzione entrati in esercizio prima della predetta data purché la loro potenza nominale totale non superi il limite del 30% della potenza complessiva in capo alla Comunità Energetica Rinnovabile. 
  • I membri di una stessa CER possono stipulare contratti di fornitura con trader differenti.

Sono in capo al DSO i seguenti compiti:

  • Definire le aree convenzionali sottese alle cabine primarie, tracciate secondo i criteri stabiliti dall’articolo 10 del TIAD. Tali aree sono liberamente consultabili da chiunque sia interessato sui siti internet dei singoli distributori fino al 30 settembre, mentre dopo tale data saranno consultabili per tutto il territorio nazionale sul sito internet del GSE.
  • Fornire al GSE le misure dell’energia elettrica immessa e prelevata relativa ai punti di connessione ricompresi nelle configurazioni e la matrice di correlazione tra POD e relativa area convenzionale di ubicazione.

Ai membri CER è in seguito riconosciuto un incentivo per il consumo dell’energia da autoconsumo, in fase di definizione da parte del Ministero dell’Ambiente, al momento ipotizzato in:

  • 100 €/MWh per i sistemi di autoconsumo diffuso;
  • 110 €/MWh per le CER.

Il DSO viene coinvolto nel processo in qualità di operatore che facilita e fornisce supporto. In primis, appunto, nell’individuazione delle aree convenzionali di appartenenza della propria comunità energetica.

Il distributore svolge un importante ruolo di supporto per le attività svolte dal GSE, che è il soggetto che, come previsto dalla Regolazione, è deputato a erogare il servizio per l’autoconsumo diffuso. Infatti, i soggetti che intendono beneficiare del servizio per l’autoconsumo diffuso devono presentare istanza al GSE per il tramite del referente, secondo modalità, modelli e tempistiche definite dal GSE stesso. In questo scenario il distributore fornisce al GSE le aree convenzionali sottese a ciascuna cabina primaria, le misure dell’energia elettrica dei punti facenti parte delle configurazioni di autoconsumo diffuso e la matrice di correlazione tra i POD e l’area convenzionale di riferimento. In relazione a tali attività, si sono svolti in questi mesi e sono ancora in corso diversi confronti con il GSE per la definizione delle attività propedeutiche e di trasmissione di suddette informazioni, in un costante rapporto di collaborazione e confronto reciproco”, ci racconta Mariangela Di Napoli, Responsabile Regolatorio Grids.

Le aree convenzionali afferenti alle cabine primarie, in cui poter creare le Comunità Energetiche Rinnovabili ai fini della valorizzazione dell'autoconsumo, devono quindi essere individuabili sul territorio - in autonomia da parte di chi è intenzionato a farne parte - grazie a una mappa che è stata resa disponibile da tutti i distributori di energia elettrica sui loro portali fino al 30 settembre. Come previsto dal TIAD, il primo ottobre il GSE ha pubblicato sul proprio portale la mappa complessiva che aggrega tutte le mappe dei diversi distributori italiani.

È stato oltremodo importante nello scenario descritto seguire fin dalle prime fasi l’iter di definizione del quadro legislativo e regolatorio “E-Distribuzione è stata parte attiva nella revisione delle bozze relative agli schemi delle direttive prima e dei decreti di attuazione poi, in modo da indirizzare fin da subito l’iter di definizione della normativa verso regole chiare e soprattutto efficienti. In particolare, è stata di fondamentale importanza la conferma di un modello regolatorio virtuale, che prevede l’uso della rete di distribuzione esistente per la costituzione delle configurazioni di autoconsumo diffuso, favorendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili e allo stesso tempo evitando inutili investimenti e proliferazioni di reti secondarie”, conclude Di Napoli.

Quello dell’autoconsumo diffuso e delle CER è dunque un universo in divenire, che ruota intorno al grande tema delle energie rinnovabili, un futuro che è sempre più presente. L’incremento sempre maggiore dei produttori da fonti green e la loro sempre maggiore connessione alla rete è un’opportunità oltre che una sfida che permetterà all’infrastruttura non solo di accogliere la generazione diffusa, vitale per il raggiungimento dei macro-obiettivi 2030-2050, ma anche di rinnovarsi, diventando sempre più resiliente e smart. 

mappa CER italia

Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia coerenti con la legge 8/2020 (fonte: RSE)